COPERTE ,ORSACCHIOTTI E... SENI MATERNI
da "Televisione e vita quotidiana"
ed.il Mulino di R.Silverstone
Alle radici dell’interpretazione che Winnicott dà
dell’individuo si ritrova il rapporto tra il bambino e la madre, un rapporto
centrato, in senso tanto letterale quanto simbolico, sul seno materno. La
chiave per una buona riuscita dell’individuo sta, per Winnicott, nella
capacità del bambino di staccarsi dalla madre: una capacità a sua volta
condizionata dalla qualità delle attenzioni che l’ambiente è stato in grado
di fornire, soprattutto nel senso dell’affidabilità e della consistenza
delle stesse (nonché della loro intensità). Il bambino è capace di separarsi
dalla madre se nel loro rapporto c’è una dose sufficiente di fiducia e di
sicurezza perché possa farlo senza timori. Ma quel distacco non è un
processo né semplice né irrilevante.
La separazione, in effetti, implica il legame. La
capacità di un individuo di staccarsi da un altro si fonda sulla propensione
a riconoscere al tempo stesso i legami con l’altra persona. L’indipendenza
implica dipendenza.L’emergere dell’individuo nella sua sicurezza ontologica
richiede insieme distanza e prossimità nelle sue relazioni con gli altri e una
complementarità della sicurezza interiore e di quella esterna. Interno ed
esterno, i mondi della realtà soggettiva e di quella oggettiva, devono esser
distinti ma anche confrontati.
La chiave
per portare alla luce questo processo e i suoi vari componenti che gli danno
un’apparenza così ingannevolmente semplice sono da rintracciare
nell’analisi che Winnicott fa del primo possesso che comincia le prime volte
in cui il neonato mette la mano in bocca, e porta alla fine all’attaccamento
per un giocattolo, una bambola, una coperta; per ciò che Winnicott definisce un
oggetto transizionale. Questo diventa il centro di grandi sforzi emotivi e
cognitivi. E il primo segno del riconoscimento, da parte del bambino, che è in
qualche modo separato dalla madre. E' il centro di ogni potente energia
affettiva, di ogni desiderio e fantasia che erano fissate alla madre come
un’estensione del bambino, ma che risultano sempre più labili allorché la
madre si allontana. Quest’oggetto assume un’importanza vitale per il piccolo
al momento di andare a dormire ed è una difesa nei confronti dell’inquietudine.
Conforto e agente di consolazione, viene portato dappertutto, tenuto in gran
conto per via della dimestichezza, un oggetto magico che incarna la continuità
delle attenzioni ma anche l’affiorare della forza creativa del bambino. In
termini di semplice sostituzione metaforica, come in realtà è, l’oggetto
transizionale sta al posto del seno (come in effetti il seno in precedenza «stava
per la madre»), ma nello spazio creato dalla metafora è l’oggetto attraverso
il quale il piccolo comincia a distinguere tra sé e la madre (o, per dirla con
Winnicott, «tra estensioni del me e del non me») e, cosa non meno importante,
tra fantastico e reale. Lo spazio è quello dell’illusione: la capacità
di immaginare, quella, in effetti, di creare il senso.
Lo spazio che prima occupava viene riempito da altre
attività e aspetti culturali che continuano l’azione di fornire sollievo
alla tensione provocata dal collegamento tra realtà interna ed esterna (e in
effetti, come sottolineato in Winnicott [1958], l’impresa di accettare la
realtà non è mai conclusa). Questo lavoro culturale va avanti, con le
soddisfazioni
e frustrazioni che ne conseguono, e con il continuo affidamento a oggetti e a
media per agevolarlo. Ciò che voglio suggerire è che i media, e forse la
televisione più di tutti, occupano lo spazio potenziale lasciato vuoto da
coperte, orsacchiotti e seni materni [Young 1986] e fungono in senso emotivo e
culturale da oggetti transizionali. In quanto tali, è evidente, risultano
soggetti alle esigenze della nostra educazione individuale come anche
dell’ambiente in cui vengono sia prodotti sia consumati. Ed esposti, inoltre,
all’incerto equilibrio tra salute e malattia cui Winnicott è così
sensibile, e cui anch’io devo ancora una volta dedicare qualche riga.